martedì 25 marzo 2008

Lista civica nazionale "Per il Bene Comune"

“Chi ci guarda con la superficialità del consumatore d’informazione in pillole può senz’altro definirci come un partito, anzi, un “partitino” al negativo: partitino perché oggettivamente non è conosciuto dalla massa delle persone; al negativo perché dice tanti no.

 

Il fatto che poco se ne sappia non è certo per volontà nostra. Tutt’altro.

Ai media hanno tradizionalmente accesso i gruppi che gestiscono il potere, un potere di cui anche i media fanno parte in maggiore o minor misura. E le persone guardano la TV, anzi, la assorbono, quasi involontariamente, come è ben noto ai tecnici della pubblicità. I giornali vengono al secondo posto, ma ben distanziati, e per le radio la cosa non va troppo diversamente.

 

Se le tre coalizioni che intendono spartirsi ancora una volta l’Italia imperversano in tutti i mezzi di comunicazione, noi non abbiamo nemmeno uno straccio di “passaggio”, arrivando addirittura all’incredibile. Ben pochi hanno saputo che il senatore Fernando Rossi è stato incatenato due giorni e due notti ad una statua in Senato, facendo lo sciopero della fame per protestare contro un decreto espresso per non farci partecipare alle prossime consultazioni elettorali. Ad altre latitudini, l’aver calpestato il diritto fondamentale della partecipazione democratica, articolo 21 della Costituzione compreso, avrebbe significato riempire le prime pagine dei giornali e costituito il servizio d’apertura di ogni TG e GR. Da noi, silenzio di tomba.

 

Da un certo punto di vista, questo imbavagliamento è un segno clinico importante: saremo sì piccoli, ma siamo considerati pericolosi. Un virus potenzialmente letale.

 

E siamo pericolosi perché siamo al negativo.

 

Etichettarci come “antipolitici” è a dir poco avvilente. Un’etichetta del genere significa che ormai ci siamo assuefatti a considerare la politica, vale a dire il governo della casa comune, non come un bene ma come una malattia mandata dal cielo da cui è inutile tentare di sottrarsi. Come se fossimo su un autobus guidato da un autista ubriaco o pazzo o cieco e nessuno, pur avendo la patente, potesse alzarsi e prendere il volante.

 

A questo proposito, mi si permetta di dilungarmi un attimo a citare me stesso con uno stralcio di un mio vecchio articolo: Parecchi anni fa fu eseguito da Kurt Seelmann un esperimento la cui crudeltà è almeno pari al suo interesse. Si presero dei cani e li si mise in una scatola aperta il cui fondo era costituito da una griglia metallica attraverso la quale, improvvisamente, si faceva passare una corrente elettrica. Ovviamente i cani, percependo il dolore, balzavano fuori. L’esperimento veniva ripetuto più volte e poi si cambiava protocollo: stessa scatola, stessa situazione, ma stavolta con i cani immobilizzati e, dunque, costretti a subire la scossa elettrica ogni volta che si mandava corrente, guaendo per il dolore ma senza possibilità di fuga. Terzo atto: gli stessi cani erano sistemati nella situazione primitiva, vale a dire nella scatola senza alcuna costrizione. Però, questa volta, al passaggio della corrente i due terzi dei cani non tentavano nemmeno di scappare: se ne stavano lì a guaire, convinti che questo fosse un destino ineluttabile.

 

Uno studioso di sociologia non potrebbe altro che informarci sulla similitudine che ci lega a quei cani, visto che anche noi, o almeno la maggioranza di noi, si è lasciata convincere che dalla scatola non si esce.

Per essere ancora più didascalico, se un medico somministra una medicina ad un malato e il malato non solo non guarisce, ma peggiora, e se, a maggior ragione, si scopre che è proprio la medicina a fare guai, si cambia medicina. Se il medico insiste con quel farmaco, si cambia il medico. Ovvio? Noi non solo non lo facciamo, ma il medico ci ha convinto che la laurea ce l’ha solo lui e che il nostro aggravamento è tutta un’invenzione.

 

Adesso noi vogliamo uscire dalla scatola o, cambiando esempio, cambiare medico.

 

Da qui la nostra immagine negativa e bollata come “antipolitica”. In realtà, negativi siamo, nel senso che rifiutiamo un concetto di “politica” - e qui sono d’obbligo le virgolette - che nei fatti è solo gestione del potere dove i beneficiari preferenziali sono i gestori e non i loro datori di lavoro. Credo non ci siano dubbi sul fatto che in questo Paese avere la conduzione della casa comune di cui dicevo non rappresenti un servizio o, men che meno, un onere, ma sia uno dei mestieri più redditizi cui si possa pensare. E non solo in termini economici. Del resto, l’aforisma andreottiano secondo cui “il potere logora chi non ce l’ha” è beffardamente ed italianamente vero.

 

Noi vogliamo riprenderci le chiavi di casa e fare della politica non un mestiere ma un servizio e basta. Antipolitica? Fate voi.

 

E poi, i nostri no. Sì, noi diciamo diversi no: no a ciò che aggredisce la nostra salute, no a ciò che saccheggia i nostri borsellini, no a ciò che mina il futuro nostro e dei nostri figli. Qui l’elenco sarebbe discretamente lungo e avrebbe bisogno di spiegazioni dettagliate punto per punto. Non perché i punti siano complicati, ma perché decenni di logica distorta somministrataci da una classe dominante abilissima a farsi gli affari suoi hanno condizionato il modo di ragionare.

 

Se diciamo che la gestione dei rifiuti va fatta in modo diverso e, tra l’altro, non solo più sano ma anche incomparabilmente più efficace ed economico, credo che qualche minuto d’attenzione ci possa essere dedicato.

 

Lo spettatore TV, nei fatti, non ha mai avuto la minima informazione al proposito e gli altri media non si sono comportati troppo diversamente.

 

Se diciamo che i concorsi pubblici sono ampiamente truccati, se diciamo che i pochi denari per la ricerca finiscono dove non dovrebbero finire e la nostra classe dirigente, università in primis, sta precipitando a livelli infimi che hanno condotto l’Italia a posizioni internazionali di retroguardia nella competitività culturale e tecnologica, non riveliamo una novità. Tutti lo sanno, nessuno si muove. Noi vogliamo muoverci.

Se diciamo che cambiare nome alla guerra e chiamarla grottescamente “missione di pace” ci porta a farci beffe dell’articolo 21 della Costituzione, e se diciamo che i soldati che tornano malati dalla guerra (ci scuserete se noi la chiamiamo con il suo nome) sono vigliaccamente abbandonati dallo Stato, diciamo verità ben difficili da confutare senza cadere nel ridicolo. E anche qui noi vogliamo che ci si svegli.

 

E la salute? L’articolo 32 della Costituzione ci garantisce che ne abbiamo diritto, ma se andiamo a spulciare migliaia di situazioni, dobbiamo ammettere che anche quel povero pezzo di Costituzione è stato messo ai ferri.

 

Non diversamente si è fatto con il 56 e il 58, gli articoli che stabiliscono che il parlamento sia eletto dai cittadini e non dai segretari di partito.

 

Insomma, i nostri presunti no altro non sono se non un unico sì alla logica, al buon senso e alla legalità e al nostro diritto alla vita. Eppure, l’anestesia ai cervelli di decenni di mala politica hanno fatto ruotare di centoottanta gradi i significati delle parole più elementari.

 

È così che è nato PER IL BENE COMUNE, ed è dovuto nascere: non come l’italico partito per godere di un potere distorto, ma come strumento di servizio e nient’altro. In realtà, in un paese che possa chiamarsi civile, di un partito come il nostro non ci sarebbe nemmeno bisogno, tanto sono ovvie le nostre istanze e tanto fanno parte del DNA di chi alla democrazia è talmente abituato da non dover perdere un attimo del suo tempo per meditarci sopra.

 

Un voto sprecato? Ancora una volta, fate voi.”

 

Stefano Montanari,
candidato premier PER IL BENE COMUNE.